Editing della vita. Hai mai pensato cosa tenere e cosa buttare?

Apr 14, 2022 | Scrittura e Coaching

Quando pensiamo alla nostra vita passata siamo portati a rivedere le scelte fatte.

Ecco che allora, nella nostra, mente riprendono vita quei pensieri che, assopiti in un angolo, si ridestano per assillarci

  • “avrei voluto fare…”;
  • “potevo scegliere di…”;
  • “non dovevo lasciarmi convincere…”.

Se potessimo riavvolgere la pellicola del nostro personale film, forse non intraprenderemmo le stese strade e di sicuro ci dimostreremmo più ferrei nei confronti di ciò che abbiamo lasciato accadere.

E se fosse possibile fare l’editing della vita?

Cosa toglieresti?

A cosa, invece, vorresti dare maggior importanza?

Quale momento esaltare, celebrare, o cancellare?

Come Editor il mio compito è quello di eliminare il superfluo – ciò che non apporta alcun valore aggiunto – e, al tempo stesso, far emergere i punti lasciati in penombra.

Un occhio su grammatica e sintassi, senza allontanare lo sguardo da trama, dialoghi e musicalità del testo.

Come Ghostwriter, dovrei scegliere bene le parole da utilizzare per restituire il miglior racconto di accadimenti, memorie e sentimenti che mi vengono affidati.

Avrei l’enorme onere di dover decidere cosa tenere e cosa buttare di una vita che non mi è appartenuta: capire, attraverso un passato riferito e non vissuto, quali sono gli elementi portanti e necessari alla storia da raccontare.

Ma se davvero potessimo rivedere sotto questa lente la nostra vita, cosa toglieremo che proprio avremmo voluto evitare?

E cosa non ci lasceremmo sfuggire o, addirittura, vorremmo esaltare?

Non è facile rispondere a queste domande.

Come esseri umani non possiamo esimerci dal considerare i momenti belli e i momenti brutti del nostro vissuto: ognuno di noi è il risultato di tali accadimenti.

Potremmo farlo in un libro, o in uno scritto per noi: tacere alcune parti scomode, che siamo stati costretti a vivere o sopportare.

Riusciremmo anche a fingere di non essere noi quella persona, come se nulla fosse accaduto, ma sarebbe difficile staccarsi da ciò che ha dato origine ai toni chiaro-scuri della nostra vita.

Forse incontreremo momenti passati che a nessuno augureremmo di vivere, eppure hanno fatto parte della nostra storia.

Quale stato d’animo ci pervade quando ripensiamo a quei momenti?

Assieme al ricordo ritorna l’emozione provata quando li abbiamo vissuti.

In alcuni casi eravamo preparati, consapevoli di ciò a cui stavamo andando incontro.

Altri si sono presentati senza invito, del tutto inaspettati, ci hanno messo fuori gioco come un poker d’assi servito.

Passato il primo momento abbiamo alimentato la forza necessaria per reagire, secondo la nostra personalità, il carattere, la capacità di discernimento nel tempo che ci vedeva, controvoglia, protagonisti.

Ma ci identifichiamo ancora in questi comportamenti?

Perché ci soffermiamo di più sugli eventi negativi?

La risposta è molto semplice: perché rappresentano uno stop.

Ci costringono ad interrompere quel processo evolutivo che ci vuole sempre tesi verso un miglioramento personale, qualcosa che ci proietti in avanti nella vita, senza preoccuparci di come questo avverrà.

La scienza ci aiuta a comprendere che non c’è nulla di sbagliato in noi se ci riconosciamo in questo comportamento.

Il motivo è racchiuso in un più ampio concetto:

la nostra mente non è neutrale.

Il nostro cervello, rispondendo ad un meccanismo di difesa, attribuisce maggior significato alle esperienze negative, a quelle che generano pericolo, affinché ci aiutino a sopravvivere attraverso il ricordo dei potenziali rischi ai quali siamo stati esposti.

Si tratta di un meccanismo affinato in un arco temporale di circa sette milioni di anni, che hanno segnato le tappe dell’evoluzione fino ad arrivare all’Homo sapiens e ad insegnargli come sopravvivere.

I gradini successivi hanno condotto allo sviluppo del potenziale intellettivo attraverso la memoria e, di conseguenza, la capacità di trarre insegnamenti dalle esperienze vissute.

La memoria è dunque parte di un complesso meccanismo affinato attraverso l’evoluzione, allo scopo principale di permettere alla specie umana di sopravvivere ad un reale pericolo di morte.

Ai giorni nostri questa attitudine si rivela in molti casi inutile, ma, trattandosi di un impulso dettato dall’istinto, e ben radicato nella parte del cervello rettiliano1, risulta molto difficile da circoscrivere e pertanto, pur senza oggettiva necessità, continua a svolgere la sua funzione.

Come già sottolineato, non siamo “sbagliati” se percepiamo in noi questa predisposizione.

“Questa è in generale una tendenza di tutti.” – afferma il dottor Clifford Nass2 , riprendendo poi il concetto nella frase che segue:

“Il cervello elabora le informazioni positive e negative in due emisferi diversi; generalmente le emozioni negative impiegano più energia per essere processate e quindi creano più pensieri rispetto a quelle positive.”

Semplificando un po’ il concetto possiamo affermare che i ricordi negativi, creando più pensieri, generano una maggior quantità di informazioni e tracce mnestiche3, che a loro volta richiederanno più tempo per essere “smaltite”.

Fin qui tutto vero.

Viviamo anche momenti belli però!

Ma quelli, per qualche motivo, li diamo per scontati.

Non siamo inclini, se non in maniera ponderata e voluta, a considerarli, a celebrarli, ad attribuire loro l’importanza che meritano.

Eppure si tratta di esperienze gratificanti, che abbiamo vissuto e dalle quali abbiamo tratto piacere.

Ma sono gli eventi difficili, i disagi, le paure vissute, che ci costringono a pensare.

Ci ricordano che la nostra natura prevede anche lo scontro, non sempre sappiamo quando e con chi, ma dobbiamo tener presente anche questa eventualità.

E proprio quando pensiamo di aver intrapreso la giusta strada, quando stiamo bene, ecco che spesso si presenta – o riviviamo perché richiamata alla memoria da un fatto contingente – un’esperienza che ci frena, fa impallidire ogni nostra aspettativa e ci confina nello sconforto.

Riuscire ad andare oltre sarà il frutto di un percorso che si deve voler intraprendere, perché comporta, spesso, il rivivere la stessa esperienza fino a comprenderne il significato.

Non sarà lo scorrere del tempo, senza il nostro contributo, che ci aiuterà a superare i problemi.

Perché il tempo, se è vero che allontana lo slancio di rabbia iniziale, è altrettanto vero che lascia spazio al cervello per ritornare, anche se in maniera inconscia, al problema fintanto che non lo avrà estirpato.
Il rinnovamento deve iniziare per forza da noi, perché è da parte nostra che deve cambiare l’atteggiamento verso il problema stesso.

Ci può essere d’aiuto intraprendere una pratica definita da un termine entrato ormai a far parte del nostro vocabolario: fare pruning.

In natura significa liberare gli alberi dalle parti secche, tagliare i rami che impediscono alla pianta di espandersi, asportare porzioni di quelli che impediscono una espansione armoniosa della chioma.

Tutti interventi che mettono al centro la pianta con l’intento di farla crescere al meglio.

Ora rivolgiamo questa pratica su di noi e vediamo di cosa si tratta.

Cercare le cause del nostro tormento all’esterno non sarà di alcun aiuto.

Significherebbe attribuire importanza, e conferire energia, ad un elemento al di fuori del nostro controllo.

Attribuiremo forza a qualcosa che non ha forma, non sappiamo cosa sia, ma che si è presentata con l’intento di ferirci.

Questo ci suggerisce una profonda presa di coscienza.

Per capirlo fino in fondo mi piace usare un modo di dire imparato in Norvegia durante un viaggio.

Riferendosi al tempo, i norvegesi dicono:

“Non esiste il cattivo tempo, solo vestiti sbagliati.”

Ecco come stanno le cose:

non è stata la vita sbagliata – il cattivo tempo -, solo il nostro atteggiamento difronte alle difficoltà – i vestiti sbagliati.

Non eravamo preparati, non abbiamo fatto le scelte giuste.

Ma siamo cresciuti, è aumentata la nostra consapevolezza ed ora ci disponiamo al viaggio con uno zaino più leggero.

Il cambiamento è un processo intrinseco dell’intelligenza.

Significa comprendere che il tempo nel quale siamo immersi ha mutato forma, regole, requisiti.

E anche noi siamo cambiati.

Rimanere ancorati a ciò che non ha più ragion d’essere registrerebbe una forma di chiusura, si tradurrebbe in un atteggiamento dannoso.


Tutti gli esseri viventi, animali e vegetali, cambiano: per loro si usa il termine “adattano”.
Ossia mutano abitudini, o struttura, in funzione dell’ambiente esterno.
Noi esseri umani, grazie all’intelligenza ed al libero arbitrio, disponiamo della facoltà di comprendere, decidere di guardare in faccia la realtà e scegliere di cambiare.

Dobbiamo cercare dentro di noi le soluzioni che fino ad oggi non eravamo pronti a considerare, e liberarci di tutto ciò che le nascondeva al nostro sguardo.

Possiamo decidere anche di imbracciare un’arma nuova: la scrittura.

Si, scrivere aiuta a focalizzare i problemi.

Ed ecco che arriva il momento di utilizzarla per fare pruning.

Dovremo essere sinceri con noi stessi, ce lo dobbiamo se vogliamo vivere meglio.

Scrivere ci aiuterà a delineare, con le armi di un Editor:

  • la struttura della nostra vita;
  • l’indice degli eventi che ci hanno condotti fin qui;
  • i dialoghi interiori motivo di disagio;
  • le parti ridondanti che non servono.

Certo, sarebbe bello poter cancellare e riscrivere, ma non saremmo le persone di oggi.

Dopo una corretta operazione di pruning, potremo però

rendere migliori i nostri frutti.

Cosa ne pensi?

Vuoi diventare Editor della tua vita?

Se questa idea ha stuzzicato la tua curiosità, contattami.

Vedremo insieme come trovare il modo per riscrivere la tua esperienza.

Foto © Eleonora Tomelleri


1Secondo la teoria formulata da Paul McLean (Paul Donald MacLean (Phelps – 1913 / Potomac 2007), medico e neuroscienziato statunitense, la struttura del cervello umano comprenderebbe tre distinti cervelli:

– rettiliano – deputato alle funzioni vitali

– limbico – responsabile dei processi emotivi

– neocorticale – destinato a gestire i ragionamenti, calcoli e tutta la parte logica

Approfondimenti: https://www.hce.university/blog/comunicazione-efficace-i-3-cervelli/

2 Clifford Nass (Teaneck, New Jersey -1958 – Fallen Leaf Lake California – 2013), professore presso la Stanford University, famoso per la sua teoria dell’equazione dei media e ritenuto un’autorità nel campo degli studi sull’interazione uomo-computer. Il pensiero riportato è contenuto nel suo libro “The Man Who Lied to His Laptop: What Machines Teach Us About Human Relationships.

Approfondimenti: https://www.audimente.it/2020/09/23/perche-ricordiamo-sempre-le-cose-brutte/

3Attraverso la memoria siamo in grado di formare, immagazzinare e rievocare immagini e informazioni riferite a vari momenti della vita. Le tracce mnestiche sono il mezzo attraverso il quale queste operazioni vengono messe in atto, ossia: richiesta al sistema cognitivo > sue risposte.

Approfondimenti: https://www.brainfactor.it/le-tracce-mnestiche/

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