Cambiare vita significa sempre cambiare lavoro?

Lug 24, 2023 | Coaching, Writers coach

Succede molto più spesso di quanto non si possa pensare.

All’improvviso, spesso senza un particolare evento scatenante, proviamo un senso di insofferenza nei confronti di ciò che, fino a quel momento, ha costituito la parte importante della nostra vita.

Non dovremo ignorarlo: significa che, prima di tutto, in passato non siamo stati soddisfatti di qualche esperienza – oppure abbiamo vissuto un evento che ci ha turbato o, almeno, attirato la nostra attenzione – e ora è arrivato il momento di cercarne i motivi.


Ma non cerchiamoli fuori, in ciò che fa da tessuto alla nostra vita.

Le nostre azioni dipendono da una nostra scelta,

e da essa lo stato d’animo che viviamo.

Il primo segnale che probabilmente avvertiremo sarà l’insoddisfazione che deriva dalla nostra attività.

Il primo pensiero potrebbe essere “se cambio lavoro tutto si risolve”.

Ma siamo sicuri che sia veramente così?

Forse dovremmo indagare sul vero motivo, che in genere non è mai quello che ci appare come prima risposta.

Sì perché dobbiamo tenere sempre presente che il nostro cervello, che dovrebbe essere il nostro più fedele alleato, remerà contro.

Indagare sui motivi che creano disagio ci condurrà in maniera inevitabile a comprendere di dover attuare dei cambiamenti.

Questi cambiamenti chiederanno alla nostra mente una attività di assestamento per apprendere e mettere in pratica funzioni diverse da quelle svolte fino a questo momento.

Dovremo cambiare abitudini, forse, adottare una diversa routine, con tutto ciò che questo comporta a livello fisico e mentale.

Ma come dovremo comportarci?

Il primo compito che dovremo assolvere sarà quello di cercare di comprendere perché quell’occupazione che tanto ci entusiasmava, ora, improvvisamente, è causa di frustrazione o, ancor peggio, di insofferenza.

Questa nuova situazione interiore finirà per minare ogni nostro altro rapporto se non saremo pronti a individuarla, e, soprattutto, a intraprendere le azioni necessarie pe compiere una vera e propria inversione di marcia.

Dovremo cambiare lavoro? No.

Dovremo guardarci dentro e capire

da dove arriva questa sensazione mai provata prima.

Ma come fare?

Spesso abbiamo allontanato i pensieri che arrivavano poiché eravamo consapevoli che, se li avessimo ascoltati, questi avrebbero in qualche modo sconvolto la nostra vita.

Se siamo onesti riconosceremmo nel nostro atteggiamento un fondo di paura:

  • paura di dover sconvolgere del tutto l’ambiente nel quale siamo immersi;
  • paura di non accettare più famiglia, amici, lavoro;
  • paura di non essere all’altezza di sopportare le nuove prove che potrebbero attenderci;
  • paura di dover affrontare ciò che ancora non sappiamo immaginare.

Quindi il problema si identifica con un senso di paura che temiamo possa prendere il sopravvento.

Più che normale. Qualcuno potrebbe addirittura affermare che sia giusto.

In fondo la paura è quella emozione che ha salvato – e permesso – al genere umano di progredire e svilupparsi.

Senza paura cadremmo vittime di chi sa quale evento che solo con un po’ di prudenza potrebbe essere evitato.

La paura – in questo caso – non deve spaventare,

ma diventare strumento di approfondimento,

Deve permetterci di comprendere prima, e condurci poi a scardinare ogni motivo che non ha ragione di persistere e bloccare la nostra esistenza.

Riprendiamo ogni motivo di paura evidenziato e proviamo a chiederci:

  • l’ambiente nel quale siamo immersi, forse, non potrebbe trarre beneficio da una versione di noi più presente e attiva?
  • famiglia, amici a lavoro non ci apprezzerebbero se fossimo più distesi, cordiali e aperti in quanto appagati da ciò che facciamo nella vita?
  • se vivessimo appieno le nostre peculiarità non pensiamo che potremo essere all’altezza di superare anche le prove che, forse, si potrebbero presentare?
  • se fossimo consapevoli del nostro valore – inteso come capacità che ci appartengono – perché mai dovremmo aver paura di affrontare ciò che ancora non sappiamo immaginare?

Credo che, arrivati a questo punto, sia più che mai evidente che permettere alla paura di dominarci rappresenti un grave errore.

Perché ricordiamo, questi non sono i motivi di paura che hanno salvato i nostri antenati, quando dovevano fronteggiare eventi che richiedevano di mettere in atto quella reazione neuronale primaria in risposta a un evento pericoloso per la vita, nota come “fight or flight.

Le paure proprie della nostra epoca sono di tutt’altra origine.

Non rischiamo la vita, forse, ma non per questo sono meno importanti.

Vivere perennemente con un senso di insofferenza senza andare alle origini per problema non giova certo né al nostro sistema nervoso, né a quello emozionale.

E non sarà cambiando lavoro che risolveremo i problemi.

L’area lavoro spesso è solo una delle tante dove si manifesta il disagio.

L’azione più importante e semplice, se vogliamo davvero compiere un’inversione di marcia, sarà iniziare a scrivere di questo disagio.

Perché scrivere?

Possibile che sia sufficiente riempire un quaderno di pensieri in questi momenti così difficili da avvicinare?

No, non basta, ma è il primo passo.

Scrivere permette di “scaricare il cervello” e dare un volto al nostro disagio.

Fino a quel momento si è trattato di pensieri che hanno affollato la nostra mente, si sono insinuati in ogni ragionamento privandolo di efficacia, ci hanno distolto quando serviva tutta la nostra attenzione.

Foto © Eleonora Tomelleri

Se ci fermiamo a ragionare, scopriremo che scrivere ci costringe a una triplice attività:

  • prima pensiamo,
  • poi scriviamo,
  • per ultimo rileggiamo

ciò che abbiamo trasferito su carta.

Questo non fa che arricchire l’atto dello scrivere:

lo carica di effetto e ci obbliga a essere presenti con tutti i nostri sensi attivi.

Sarà forse il nostro lavoro più importante e impegnativo.

Ma poi, alla fine, capiremo che ne è valsa la pena.

Il passo successivo quale dovrebbe essere?

Dai nostri scritti emergerà, sia in maniera evidente, sia forse meno comprensibile, tutto il nostro disagio.

Dovranno essere “decifrati”, a volte, e per questo è consigliabile farsi affiancare da un professionista.

Ma se avete trovato la modalità per affrontare questo percorso in maniera autonoma – seguendo i consigli riportati – forse la figura di un Coach potrà esservi d’aiuto.

Vi renderete conto che la vera meta non era distante.

Siete voi con tutte le peculiarità che ora riuscirete a manifestare.

Come Writer Coach sarei felice di affiancarvi in questa attività, che si rivelerà per voi una piacevole scoperta.

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