Cambiare la propria vita. È possibile? Dobbiamo buttare all’aria ogni cosa?

Mag 6, 2022 | Scrittura e Coaching

Questo pensiero, molte volte, spaventa le persone.

Ritengono che contenga l’implicita esortazione ad allargare la traiettoria di tutto ciò che si trova nell’orbita della loro esistenza.

Il fondamento di tutto questo è racchiuso in una verità che non vorremmo rivelare nemmeno a noi stessi: la nostra vita non ci soddisfa e ci rendiamo conto di non riuscire a dimostrare il nostro valore.

Siamo insofferenti, ci sentiamo limitati, senza possibilità di sviluppare le nostre peculiarità, incapaci di convogliare in azioni concrete l’energia di cui disponiamo, che non trova quindi la giusta espressione.

Con queste premesse, come possiamo agire in modo efficace e funzionale alla nostra vita, ed essere positivi con le persone che ruotano attorno a noi?

Arranchiamo verso il tempo avvalendoci di gesti automatici.

A volte lasciamo che la vita ci passi accanto senza viverla. Altre le permettiamo di soggiogarci.

Una profonda insofferenza permea il nostro essere, finché arriva a prendere consistenza quel senso di rifiuto nei confronti di ciò che, fino a quel momento, aveva costituito la struttura portante della nostra vita.

È normale, in queste situazioni, pensare di voler prendere le distanze da tutto: viviamo come infestati da una pianta parassita che ci priva della nostra linfa vitale.

Passata la prima fase eruttiva-distruttiva, la nostra mente ci suggerirà di cercarne i motivi.

Ma una volta intrapresa questa auto-investigazione, ben lungi dal consigliarci al meglio, il nostro cervello tenterà di fuorviarci.

Permetterà a ragionamenti e verifiche di confondersi e trovare giustificazione fra le molteplici preoccupazioni che affollano la nostra quotidianità.

Eh si, perché è più semplice guardarsi attorno cercando il colpevole, anziché riconoscere di impersonare il reo convinto.

Questo implicherebbe una profonda analisi di noi stessi: richiederebbe un lavoro di screening da parte della nostra mente che non ha proprio intenzione accendere i riflettori su di sé.

Saremmo costretti a mettere in discussione come abbiamo gestito la nostra vita fino a quel momento, andare alla ricerca dei motivi che hanno determinato i nostri comportamenti e, quel che più ci disturba, ammettere di aver fallito.

Perchè di questo si tratta. Altrimenti il disagio non si sarebbe presentato.

Ma a questo punto dobbiamo appropriarci di un principio fondamentale:

se non modificheremo lo schema di pensiero

non raggiungeremo la meta desiderata.

E non prenderemo mai la decisione di cambiare – anche se siamo consapevoli che questo ci farebbe stare meglio – perché conosciamo bene il grande sforzo che questo richiederebbe.

Ma non possiamo lasciar trascorrere il tempo cercando di nasconderci, o cercare di giustificarci, ripetendoci ancora una volta “aspetto il momento giusto”.

Potrebbe passare troppo tempo, o addirittura succedere che la vita ci scorra accanto mentre aspettiamo lo scoccare di quel secondo.

Quante volte ci siamo trovati in una situazione di benessere interiore, vicini ad intraprendere qualcosa di diverso, e poi, in maniera del tutto inaspettata, è successo qualcosa: un evento ha mandato all’aria i nostri progetti e come un’onda ha riportato al largo un sogno che stava per approdare.

Perché il momento giusto, così come lo vorremmo, forse non arriverà mai.

Ci sarà sempre qualcosa che lo renderà inadatto.

Non solo.

Il fatto di affermare “aspetto il momento giusto”, ci pone in posizione di sudditanza rispetto a qualcosa di indefinibile, inconsistente, al quale anche noi non sappiamo attribuire una corretta connotazione.

Ma questo concetto ci frena.

Cosa aspettiamo?

Siamo sicuri di voler vedere infrangere i nostri sogni difronte a qualcosa di incomprensibile, vago, incerto o quantomeno di dubbia entità?

Quante occasioni ci siamo persi a causa di un simile ragionamento?

Quante volte avremmo potuto evitare malesseri o incomprensioni se solo avessimo cambiato il nostro atteggiamento? Ci abbiamo mai pensato?

Aspettare il momento giusto significa anche, in maniera implicita, fermarsi in attesa di vedere cosa succederà, cosa ci porterà il futuro.

O meglio, se il futuro sarà foriero – o meno – di buoni segnali che ci convincano che il momento di cambiare è arrivato.

Fabio Marchesi1 nel suo libro “La fisica dell’anima” (2017 – Ed. Tecniche Nuove S.p.A. – Milano) scrive:

“Il futuro, in particolare, non può esistere prima di manifestarsi in un presente, ma allora non è più futuro…”

Questa affermazione ci deve far riflettere.

Il passato è passato, lo conosciamo bene.

Può essere stato piacevole o meno, potremo nutrire un bel ricordo o provare rimpianto, ma è passato.

Il presente è adesso, mentre scrivo.

Alla fine potrà già essere raccontato con un verbo al passato.

Il futuro posso solo immaginarlo, non esiste ancora.

Ma se questo è vero, allora posso ancora decidere come agire. Posso cambiare.

Posso intervenire, posso scegliere cosa fare e come impiegare il mio tempo.

Nelle mie azioni, nelle decisioni che adotterò e nei pensieri che prenderanno forma nella mia mente, è racchiuso come sarà il futuro nel momento in cui si manifesterà.

Quando, da tempo inesistente ed incerto, diventerà presente.

Da questo pensiero scaturisce un’importante responsabilità:

abbiamo il dovere di cambiare ciò che non sentiamo in sintonia con noi,

e trovare il giusto accordo che permetta

al nostro futuro di manifestarsi così come lo abbiamo desiderato.

Operare quei cambiamenti in grado di riscrivere la nostra storia.

Già, ma da dove partire?

Da noi.

Non cerchiamo fuori i motivi: guardiamoci dentro.

Sarà un compito facile?

Al contrario.
Si rivelerà forse il nostro lavoro più impegnativo, ma non riusciremo più a rinunciare a ciò che apparirà lineare davanti a noi.

E lo sarà perché avrà le radici ben salde in ciò che siamo.

Diventerà il nostro modo per attribuire concretezza alla vision che ognuno ha fatto crescere dentro di sé.

Imparare significa scoprire quello che sai già.

Fare significa dimostrare che lo sai.

Queste parole di Richard Bach (Illusioni – Ed.BUR, 2010) trasmettono l’importante concetto che da solo può allontanare ogni nostro timore:

un cambiamento all’interno di ciò che già fa parte di noi

potrà solo vederci uscire vittoriosi.

Come una pianta, che a dispetto di tutto, produce sempre ossigeno.

Non c’è crescita laddove si alimenti un pensiero radicato nel passato, che non consideri l’evoluzione portata dal tempo.

Lavoro, persone, amicizie meritano il meglio di noi, anche se questa condizione deve passare attraverso una profonda revisione che, in primis, coinvolgerà la nostra vita.

Prepariamoci, perché non sarà un cambiamento agile e snello.

In questo viaggio si dovrà agire in maniera puntigliosa, senza tralasciare alcun dettaglio.

Chirurghi se serve, esploratori in ogni momento, aperti al nuovo sempre.

Iniziamo a fare i conti con noi stessi, ad esercitare una sorta di auto-giudizio.

Un autorevole punto di partenza è costituito dal pensiero di William James2, ossia che ognuno di noi deve rapportarsi con le “diverse persone” che egli stesso rappresenta.


Ovvero:
– come pensa di essere
– come gli altri pensano che lui sia
– come egli è realmente


Non necessariamente queste visioni sono divergenti, anzi, sono da considerarsi integranti.
L’immagine che spesso otteniamo come risultato si rivela però del tutto diversa da ciò che fa capolino dalle nostre convinzioni.

Per capire la causa di questo disallineamento dovremo prendere in esame non solo i nostri comportamenti, ma anche i nostri pensieri, da dove traggono origine, dalla modalità che scegliamo per trasmetterli, e comprendere il motivo – se questo è il caso – per cui gli altri conservano una diversa immagine di noi stessi.

Siamo sempre sicuri di operare le scelte mettendo al primo posto noi stessi?

Che non significa ciò che può emergere da una prima lettura superficiale, ossia, considerare in maniera prioritaria il nostro ego.

Al contrario.

Significa avere la consapevolezza che se noi ci muoviamo con sicurezza e padronanza all’interno delle azioni che intraprendiamo – nel lavoro, nella famiglia, nel nostro perimetro sociale – saremo in grado di trarre soddisfazione in primis noi stessi, ma soprattutto di poter contare su una adeguata disposizione interiore, al fine di rendere al meglio in qualunque ambito della nostra attività.

Importante è comprendere che il tempo nel quale siamo immersi ha cambiato forma, regole, e requisiti.

E anche a noi dobbiamo cambiare.


Rimanere ancorati a ciò che non ha più ragion d’essere sarebbe errato, oltre che dannoso.


Tutti gli esseri viventi animali e vegetali cambiano, per loro si usa il termine “adattano”.
Ossia cambiano in funzione dell’ambiente esterno.

Noi esseri umani, grazie all’intelligenza ed al libero arbitrio, possiamo comprendere e decidere quando e come è bene cambiare.

Ma l’innesco di questa volontà è racchiuso proprio nel non sentirsi più allineati con noi stessi.

È necessario comprendere quando  

essere, mostrare e sentire non sono più in linea.

Mi rendo conto che non è facile fare i conti con sé stessi, mettersi in discussione e, quando le cose non vanno come vorremmo, fare un passo indietro e auto-interrogarsi.

Si tratta di un lavoro importante, che dobbiamo a noi stessi.

Non possiamo negarci la possibilità di stare bene.

La vita ci offrirà questa occasione.

Certo, questo treno non passerà una volta sola.

Ma sarà una sola quella che ci vedrà pronti a salire.


Prima dovremo raggiungere la consapevolezza di ciò che siamo davvero, ciò che vogliamo per noi, e lo stato d’animo che ci serve per trasmettere il meglio a chi ci sta accanto.

Tutto questo lo troveremo solo dentro di noi.


A quel punto saremo pronti per quel salto, perché sarà arrivato il momento giusto.


Senza fretta, senza obblighi.


Solo per noi stessi.

Cambiare significa guardare con occhi diversi ciò che ci siamo sempre rifiutati di vedere.

La scrittura può rivelarsi uno strumento potente che ci può aiutare a far chiarezza dentro di noi prima, e decidere come agire poi.

Perché utilizzare la scrittura?

Perché l’efficacia di questo gesto sarà moltiplicata per tre.

Si, hai capito bene.

Prova ad analizzare il gesto.

Scrivere richiede:

  1. pensare a ciò che si sente il bisogno di scrivere;
  2. scrivere il pensiero, ossia dare consistenza – attraverso lo scritto – ad un concetto che esiste solo nella nostra mente;
  3. rileggere – guardando negli occhi – ciò che abbiamo scritto.

Per forza diventa potente scrivere!

Ci avevi mai pensato?

Se nutri ancora dubbi o insicurezze, contattami.

Sarò felice di darti tutto il supporto ed ogni chiarimento necessario per utilizzare al meglio questo strumento.


1 Fabio Marchesi (Bergamo,1963) è un ricercatore scientifico, autore e inventore. 

Marchesi ha una conseguito la maturità in elettronica, una Laurea in Ingegneria in Svizzera. Dottorato in Informatica a orientamento quantistico all’Università di Milano, membro della New York Academy of Sciences. (www.fabiomarchesi.com)

2 William James (New York, 11 gennaio 1842 – Tamworth, 26 agosto 1910) è stato uno psicologo e filosofo statunitense di origine irlandese. Egli fu presidente della Society for Psychical Research dal 1894 al 1895.

Fu uno dei fondatori della psicologia funzionale, ovvero le funzioni adattive per l’organismo-uomo in relazione all’ambiente.

Nella sua opera maggiore – Principles of Psychology, opera in due volumi scritta nel 1890 – descrive la sua concettualizzazione più significativa riguardo il “flusso di pensiero”.

Egli introduce il concetto di Sé empirico, ossia: un Sé materiale – il proprio corpo, i genitori, la casa, un sé sociale – cioè come gli altri ci vedono, un Sé spirituale – come noi percepiamo noi stessi attraverso la nostra interiorità, e le nostre capacità personali.

Secondo James Ogni nostra azione rappresenta una reazione al mondo esterno, e gli stati intermedi, come ad esempio il pensiero, riguardano solo un luogo ed un momento transitorio che ci trasportano verso un’altra azione.

Approfondimenti. https://it.wikipedia.org/wiki/William_James

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