Come affrontiamo le difficoltà? Siamo sempre in grado di riconoscerle?

Mar 31, 2022 | Scrittura e Coaching

A volte non ci rendiamo subito conto delle difficoltà.

O meglio: non siamo in grado, o ci rifiutiamo, di attribuire loro il giusto valore.

Tendiamo ad accantonarle, nell’insensata speranza che parte di esse si risolvano da sole.

Ad essere onesti, questo si rivela in parte un buon atteggiamento: disperde le problematiche minori, aiuta a diminuire l’ansia permettendo ai veri problemi di emergere.

Ma cosa nasconde in realtà questo meccanismo?

Siamo così rapiti dalla necessità di dare una connotazione positiva alla nostra vita, al punto da

  • impedirci di considerare ogni impulso e sollecitazione che riceviamo dall’esterno
  • accettare come scontata la realtà che si presenta
  • tentare di evitare ogni difficoltà che possa destabilizzare il nostro modus operandi

La spinta è così forte da abbassare la nostra soglia di capacità di valutazione, ritrovandoci, alla prima difficoltà, mercenari in una guerra che potevamo evitare.

Perché succede tutto questo?

La prima considerazione è che questi momenti di stop ci costringono a guardarci attorno, fermarci a riflettere e a chiederci “ehi, cosa mi succede”?

Qualcosa ha bloccato la nostra naturale spinta in avanti nella vita, nel lavoro, nella famiglia e ci domandiamo il perché.

Non è un atteggiamento spontaneo considerare questi momenti come un segnale che la vita ci manda; li vediamo come un ostacolo, qualcosa di negativo e brutto che capita proprio a noi e non ne capiamo il motivo.

Ci sentiamo imprigionati, costretti ad allontanarci dalla nostra comfort zone, ma noi non vogliamo.

Preferiamo tornare alla situazione che ha preceduto questo shock: là stavamo bene, ci sentivamo a nostro agio, anche se in realtà era una condizione “accettata” più che “voluta”.

Ma se approfittassimo di questi momenti per ascoltarci dentro, saremmo davvero sinceri, pronti a considerare la vita che desideravamo?

O preferiamo accettare quello che è arrivato perché, tanto, cos’altro potremmo fare?

A questo punto, una volta identificata quella che sembra essere una congrua motivazione – per nulla al mondo una scusa per autocommiserarsi -, ci si rilassa, e il nostro cervello, che lungi dal consigliarci al meglio tende a fornirci la spiegazione più comoda, attua ogni stratagemma per dimostrarci che così va bene.

La nostra mente, come primo impulso, soffia come un vento contro di noi: non ci fornisce la soluzione migliore come ci aspetteremmo, bensì la più comoda, più immediata, che richiede il minor dispendio di energia.

Questo ci pone di fronte ad una severa realtà: 

uno dei nostri peggiori nemici è la mente.

Si, proprio così.

Quella a cui ci rivolgiamo per attingere informazioni e conoscenze, quella che ci viene in aiuto quando ci serve un’idea o una soluzione per risolvere un quesito.

Di fronte a questa situazione non ci resta che prendere atto dell’esistenza di due menti, o meglio tre, che convivono dentro di noi, ma soprattutto del fatto che ciascuna entra in campo, prevalendo sulle altre, a seconda della situazione.

Non sempre però la soluzione adottata si rivelerà la migliore.

Ma ci riferiamo sempre della nostra mente, oppure abbiamo a che fare con tre distinte entità?

La teoria del “cervello trino” di Paul Donald MacLean,1 formulata nel 1962, sembra offrire in questo ambito una opportuna spiegazione.

Di cosa si tratta?

Ecco la teoria: dobbiamo considerare il cervello diviso in tre parti

  • rettiliano
  • limbico
  • neocorticale

Il cervello rettiliano riguarda la sfera istintiva, più profonda, rivolta soprattutto a soddisfare le esigenze primarie legate alla nostra sopravvivenza, ma non credo sia questo il contesto per addentrarci in tale ambito.

Soffermiamoci invece sulle altre due parti: una emotiva ed una razionale.

La parte emotiva – cervello limbico – è quella deputata all’analisi di emozioni e sentimenti.

Riguarda la nostra parte spirituale, che ci vuole più aperti e rivolti al cambiamento, all’ascolto di quello che sta arrivando, sensibili ai messaggi che dovremmo saper cogliere.

La terza parte – cervello neocorticale – sovrintende alle funzionalità cognitive ed al linguaggio. Riguarda la parte razionale che ragiona e coordina al tempo stesso le attività delle altre due: governa quindi sia il cervello limbico, più sensibile ma anche più impulsivo, mantenendo uno sguardo sempre attento anche a quello rettiliano, che può richiedere la massima velocità di reazione – quando la nostra vita è in pericolo, o viviamo una situazione di emergenza -, secondo la logica primaria di attacco o fuga (fight or fly).

Questo concetto di dualità è da sempre presente in maniera prepotente dentro di noi.

Dal momento in cui iniziamo la nostra vita terrena cominciamo ad essere assoggettati alle leggi che la regolano e, fra queste, anche quella del dualismo, che caratterizza ogni espressione di vita, di azioni, che si verificano nella natura, nel cosmo, ma soprattutto dentro di noi.

La contrapposizione tra realtà corporea e quella razionale-spirituale, l’insieme delle idee e delle sensazioni, è qualcosa che la filosofia aveva già preso in considerazione ai tempi di Aristotele,2 che ne fu il teorico per eccellenza.

Ma è davvero solo così che possiamo dare un senso alla percezione del contesto che ci vede protagonisti? 

Ci devono bastare queste considerazioni per farci accettare il tutto come un normale processo?

No di certo. Ma non possiamo esimerci dal considerarle, con l’unico scopo di comprendere che non c’è nulla di sbagliato in noi.

Capiremo che le difficoltà non arrivano mai prive di una ragione.

“Non esiste nulla che sia un problema senza un dono per te nelle mani. 

Tu cerchi problemi perché hai bisogno dei loro doni.” 3


Questa frase di Richard Bach deve farci riflettere.

Arriviamo così al punto cruciale , che insiste sul fatto imprescindibile che abbiamo bisogno delle difficoltà per uscire dalla nostra comfort zone.

Dobbiamo essere costretti con le spalle al muro, obbligati a mettere in campo tutte le nostre risorse per uscirne vincitori, o quantomeno illesi, pronti a proseguire.

Sentirci costretti, senza alternativa se non la responsabilità di reagire, rappresenta la leva più efficace per fornirci lo spunto che spesso viene a mancare.

Non importa quale gradino del podio occuperemo alla fine di questa competizione: la nostra coscienza ne uscirà arricchita.

Siamo consapevoli che la soluzione non si trova quasi mai su una strada diritta, comoda e facile da percorrere.

Ma questo non ci deve scoraggiare, anzi. 

Deve indurci a cercare dentro di noi quell’atteggiamento creativo e determinato al tempo stesso, in grado di presentarci gli ostacoli come qualcosa di inconsistente che ci separa dal nostro obiettivo.

Uno stimolo a migliorare quindi, non un blocco insuperabile.

Lo studio del pianoforte mi permette di fare un paragone con la musica.
A prima vista una partitura può sembrare facile, salvo poi scoprirne le insidie.


Cosa fare?
Il brano ci piace, vorremmo riuscire a suonarlo, ma già alla prima lettura scopriamo ostacoli inaspettati.
La prima cosa da fare è riconoscere le battute difficili.
Vanno fissate, smontate nota per nota e ripetute con pazienza.

Alla fine, anche gli accordi che all’inizio avremmo voluto evitare, ci risulteranno comodi da eseguire, trovando la giusta soddisfazione nel riuscire a suonare il brano desiderato.

Ma se non avessimo accettato la sfida, non avremmo imparato – nella musica in questo caso, ma possiamo trasferire l’esperienza anche nella vita – a considerare quegli ostacoli come compagni di squadra, uniti a noi nelle sfide che il presente spesso ci propone.

La sfida, sì, e le difficoltà – che spesso viviamo come provocazioni – diventeranno il nostro Coach.

All’inizio di questo percorso mostravano le sembianze di avversari imbattibili, ma poi si sono rivelate lo sprone per far uscire la nostra parte migliore e regalarci un importante insegnamento: 

ognuno di noi custodisce la forza necessaria per dar forma al proprio destino.

Dovremo solo acquisire la giusta disposizione all’ascolto e all’apertura.

Anche tu, forse, hai provato la sensazione di trovarti stretto in un angolo.

Come hai reagito?

Io ho fatto chiarezza dentro di me attraverso la scrittura.

Le parole scritte si sono trasformate nei migliori suggerimenti che un Coach avrebbe potuto donarmi.

Grazie a questa esperienza ho perfezionato il mio metodo.

Se questa possibilità ti incuriosisce, vuoi saperne di più o decidi di sperimentarla, contattami: troveremo insieme il percorso più adatto a te.

Foto © Mariangela Ottaviani


1 Paul Donald MacLean (Phelps, 1º maggio 1913 – Potomac, 26 dicembre 2007), medico e neuroscienziato statunitense, divenne famoso per i suoi approfondimenti riguardo le funzioni psicologiche del cervello. Egli è noto per la sua teoria del triune brain -“cervello trino”-, e per le sue ricerche indirizzate allo studio dello sviluppo dell’encefalo, nonché alla scoperta delle relazioni fra la parte razionale e quella più aggressiva. I suoi studi portarono ad approfondire il funzionamento vero e proprio del cervello e del controllo che esso esercita nei confronti delle emozioni. 

2 Aristotele (Stagira, 384 a.C. o 383 a.C. – Calcide, 322 a.C.), filosofo, scienziato e logico greco antico. La vastità e la profondità dei suoi studi in ogni campo della conoscenza, compresa quella scientifica, ne fanno una delle menti più universali, innovative e prolifiche di tutti i tempi.             

3 Citazione dal libro “Illusioni” – Richard Bach – Ed. BUR Rizzoli, 2010

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